giovedì 25 ottobre 2012

"Così in terra". Sicilia al sangue.





Il romanzo d’esordio di Davide Enia è il disegno di una struttura familiare, un albero genealogico che segna le tappe della storia recente italiana.
Attraverso l’ascesa (e le cadute) di un giovane pugile, Enia sceglie di raccontare un presente e un passato che si intrecciano sul terreno di una Palermo aggressiva, ma magnetica.
Davide è un ragazzino che viene instradato al pugilato dallo zio Umbertino, pugile anch’egli in passato. Proprio come il nonno e, soprattutto, il padre di Davide, scomparso molti anni prima.
Nel racconto di Enia, l’educazione sportiva, sentimentale e umana di Davide passa attraverso un’adolescenza formata nella palestra dello zio, in vista di un campionato nazionale che ha il sapore del Mito, della Terra Promessa.
Ogni famiglia ha una storia, e la Storia abbraccia e abbatte tutti. La Seconda Guerra Mondiale, il boom economico, le stragi di mafia in una Palermo da Far West: ognuno, nel romanzo di Enia, ha a che fare con la sua personale quota di Storia, e ognuno ne esce a modo suo, rincorrendo un’idea di felicità che mai, in nessun momento, prescinde dall’amore. 

Davide Enia, Così in terra, Dalai Editore, 2012

"Per legge superiore", di Giorgio Fontana



Verità e giustizia non sono la stessa cosa.
Il lettore sprovvisto di competenze giuridiche si troverà confuso di fronte a questa affermazione. Non sono forse i giudici a stabilire la verità? Non è forse loro compito assegnare la parte del buono e del cattivo, muovendosi secondo criteri oggettivi e inconstestabili? A quanto pare no.

Per legge superiore, il nuovo romanzo di Giorgio Fontana (Sellerio) indaga la morale di un uomo, Roberto Doni, magistrato milanese con una vita regolare e solida. E con una solida concezione della propria professione. Finché si presenta, impetuosa e quasi arrogante, la vicenda di un immigrato marocchino accusato di aver sparato a una donna. Doni deve attenersi ai fatti, lo sa bene. I fatti dicono che l’uomo ha sparato. Ma la vita è anche immaginazione, coincidenze, speranza, fiducia. E i fatti, a volte, hanno un ruolo solo marginale.

lunedì 12 marzo 2012

Advice on Writing #1

Sono una fanatica degli elenchi di "regole per ...", specialmente quando si parla di scrittura. Adoro il fatto che qualcuno si prenda la briga di dare suggerimenti ai suoi potenziali concorrenti. Oggi, leggendo un articolo del Guardian ripreso da Internazionale (un articolo su una scuola di scrittura per bambini che vivono in condizioni disagiate, God bless you) mi sono imbattuta nell'ennesimo elenco. Chi lo ha composto è Anne Enright, scrittrice irlandese molto amata in patria. Questo elenco mi piace più degli altri (che pubblicherò quanto prima), forse anche perchè in quella scuola di scrittura per bambini è diventato un decalogo imprescindibile. A voi.

venerdì 9 marzo 2012

La legge della fascetta

E ora, alcuni calzanti esempi della teoria della fascetta.


La fascetta recita: "Cinque edizioni in tre settimane. Enigmatico come Il nome della rosa. Avvincente come I pilastri della terra. Un esordio che rimarrà nella storia".
Io avrei aggiunto: "Ci hanno promesso che sostituirà l'Inferno di Dante in primo liceo".

Sono un pollo da libreria

Dopo aver tanto parlato di fascette e strilloni ("La vostra vita non sarà più la stessa dopo aver letto questo libro", "Il più grande scrittore di fanta-horror-politico di tutti i tempi", "8 miliardi di copie vendute in tutto il mondo"), arriva alla nostra attenzione un articolo firmato da Edoardo Camurri e pubblicato su Il club della lettura, del Corriere della Sera online.
Copio interamente il testo perché mi sembra illuminante e anche perché mi ha dato un'idea divertentissima che metterò in pratica quanto prima.
*
Confesso di essere un pollo. Perlomeno divento tale quando compio certi esercizi spirituali che si possono riassumere in questo modo: convincersi che viviamo nel migliore dei mondi possibili. Quando entro in una libreria, per esempio, mi costringo a beccare intorno ai libri pubblicizzati con la fascetta e qui, come se avvenisse un’ulteriore metamorfosi, il galletto diventa una specie di Leibniz redivivo, il filosofo tedesco e barocco che era convinto che Dio non potesse scegliere un mondo migliore di quello nel quale viviamo.

giovedì 23 febbraio 2012

Il profumo delle foglie di limone, di Clara Sánchez (che non ho letto)

Devo dire la verità, non l'ho letto. Il profumo delle foglie di limone.
Però forse dovrei, dato che l'autrice, , sarà nella mia città (Messina) per l'anteprima del tour nazionale. Ho tempo fino al 5 marzo. Però poi guardo la pila di libri che devo ancora leggere, e che mi guardano come cuccioli di cane in attesa di essere adottati, e penso che posso andare all'incontro con la Sanchez senza aver letto il suo best seller, ché tanto mica mi interroga.
Che poi, questi scrittori che fanno i tour un po' mi insospettiscono. E non fanno che alimentare tutti i dubbi sull'onestà della letteratura contemporanea che mi assalgono quando leggo sulle fascette "Il nuovo Dan Brown", "Il più grande esordio letterario di tutti i tempi", "Circa cento miliardi di copie vendute in quattro ore", "Un genio della letteratura. Parola di Philip Roth". Perché tutta questa pubblicità, se il prodotto è buono, non serve.

lunedì 20 febbraio 2012

L'educazione delle fanciulle, di Luciana Littizzetto e Franca Valeri

E sì che le fanciulle avrebbero tanto bisogno di essere educate. Ai sentimenti, alle responsabilità, al valore dell'indipendenza, alla bellezza e alla ricerca della felicità.
Credo che dopo la rivoluzione culturale degli anni '70 le fanciulle abbiano cominciato a provvedere da sole alla loro educazione. Niente più eserciti di zie di ogni età, pronte a insegnare come cucinare un risotto, come cucirsi da sole i vestiti, come vivere in quel mondo ingessato in cui l'unico mestiere possibile fuori casa per le donne era quello di dattilografa.

domenica 19 febbraio 2012

Lou

Quando per te compongo i miei versi diversi e quotidiani
Lou so bene perché io sono qui
A guardare fiorire il proiettile a guardare venire il siluro aereo
Ad ascoltare bacchiare le noci delle veementi mitragliatrici

mercoledì 11 gennaio 2012

Pills #3

Sul mio comodino
Adam Gopnik, Da Parigi alla Luna, Guanda

In sala d'attesa (o "dei regali di compleanno")

Elena Ferrante, L'amica geniale, e/o
Federico Rocca, Hermès. L'avventura del lusso, Lindau

giovedì 15 dicembre 2011

Un 2012 straordinario

Facciamo in modo che questo 2012 sia straordinario?

Imponiamoci di credere ai miracoli, perché Dio e il Destino sono su questa Terra da molto più tempo di noi e ci chiedono solo di fidarci.

Rendiamoci capaci di guardare le cose da altri punti di vista: ho il sospetto che possa essere una pratica sorprendente.


Abbracciamo, tocchiamo, annusiamo. Corpo e materia sono due verità innegabili.

Viviamo come in un film o in un romanzo: un tale diceva che solo così possiamo rendere accettabili anche le tragedie.

Infine, recuperiamo. Qualsiasi cosa.

mercoledì 7 dicembre 2011

Fragments, di Marilyn Monroe

Leggo un articolo piuttosto recente in cui si racconta per sommi capi - e molti stereotipi - il breve amore tra Arthur Miller e Marilyn Monroe. E' nel 1956, l'anno stesso del matrimonio, che Miller scrive sul bordo di un quotidiano "mi vergogno di lei". Così, poso l'articolo e prendo un libro che mi è stato regalato circa un anno fa.

Marilyn Monroe, Fragments, Feltrinelli

domenica 27 novembre 2011

Parti in fretta e non tornare, di Fred Vargas

Non ho ancora finito di leggerlo, ma i tempi sono maturi per dirlo: questa è la "miglior Parigi letteraria" della mia vita letteraria.

Fred Vargas - che è una donna, lo sappiamo tutti - ha scritto un giallo eccelso. Ecco perché:

1) La struttura è lineare e tuttavia appassionante: un assassino spaventa la città ed è necessario trovarlo prima che faccia troppo danno. Niente incastri alla Dan Brown, niente dettagli incomprensibili che il lettore fa finta di aver capito per non fare brutta figura con se stesso o semplicemente per andare avanti nella lettura. Autentico godimento.

2) I personaggi principali sono sempre a coppie: due sono gli uomini che cominciano a studiare i segnali dell'assassino, due sono i poliziotti (un commissario e il suo assistente) che indagano sul caso, due sono gli esperti (medievalisti) che illumineranno di significato gli indizi. Tutti uomini. Il che mi porta a constatare un terzo aspetto.

3) Fred Vargas scrive come un uomo. Insomma, a parte Agatha Christie, sono uomini i più grandi giallisti della storia. E Frédérique Audouin-Rouzeau sembra avere proprio la penna di un uomo: asciutta, ironica, quasi ingenua. Le cose del mondo sono semplici, e con semplicità vengono rappresentate. Non so se questo è voluto o se è una pura questione di stile. Ma se pensiamo che il giallo è camuffare la realtà per svelarla solo nel finale, il fatto che l'autrice si camuffi dietro le parole mi sembra assolutamente coerente.

4) Questo per me è il punto più interessante. La vicenda è ambientata ai giorni nostri. Lo sappiamo perchè si parla di televisione, radio, computer e database, rilevazioni scientifiche e quant'altro. Eppure leggendo ho sempre avuto l'impressione - la piena e inconsapevole consapevolezza, direi - che Fred raccontasse la Parigi del XIX secolo, non più tardi. Mamma mia che impressione quando poi arriva un dettaglio, tipo "furgoncino", "codici d'accesso", "microfono" e "giornalisti" che fa cadere l'illusione... 


E comunque, avrei potuto evitare questa lunga discussione, il punto 1, il punto 2, il punto 3 e il punto 4, scrivendo semplicemente questo: "Fred Vargas sembra Pennac". Ma io non sono un uomo né scrivo come tale, dunque sarebbe stato troppo poco per me.


Fred Vargas, Parti in fretta e non tornare, Einaudi

lunedì 14 novembre 2011

Pills #2

Per chi ama gli artigiani della parola

Elvira Seminara, Scusate la polvere, Edizioni Nottetempo

mercoledì 2 novembre 2011

Estasi culinarie, di Muriel Barbery

Sul letto di morte, il più grande critico gastronomico del mondo spende le sue ultime energie per cercare - nella memoria e con i cinque sensi - un sapore dimenticato.

 Se volessi aggiungere alla trama del libro qualcos'altro, dovrei inventarmelo. La letteratura mondiale è piena di recherche: cercare, o meglio ricercare, qualcosa (nel tempo, nello spazio, nelle persone) è un tema caro agli scrittori, peccato però che siano pochi quelli a cui è venuto in mente di cercare qualcosa di utile, o di originale, o di universale, come un calzino spaiato,  un numero di telefono, un idraulico.

Muriel Barbery, Estasi culinarie, e/o
Ecco, Muriel Barbery, prima di popolare gli scaffali di tutto il mondo con L'eleganza del riccio e prima di disconoscere il film che ne è derivato, ha esordito nel mondo della letteratura con Estasi culinarie, pubblicato in Italia da e/o e ambienato in quella stessa Rue de Grenelle dove videro la luce le nascoste passioni letterarie della portinaia Renée (e proprio Renée compare, per un "cameo" brevissimo, anche in questo romanzo d'esordio).

 Un libro di appena 130 pagine può essere pesante come la biografia ufficiale di Winston Churchill o come la Garzantina di italiano che il mio prof di linguistica al primo anno di università pretese che studiassimo "se non a memoria, quasi".
Il protagonista, Monsieur Arthens, ricorda frammenti di passato, tra le zuppe della nonna e i sorbetti dell'amante, mentre il parentado non vede l'ora che questo vecchio insopportabile tiri le cuoia. 

Muriel, che libro morboso hai scritto. E con che pretese di "seduzione pseudo-evocativa". Non ho mai letto un libro così carico di aggettivi. Anzi sì, ma quella è un'altra storia.
Pagine grondanti, gocciolanti di aggettivi. In alcuni periodi ce ne sono così tanti che il sostantivo si perde, impaurito in mezzo alle altisonanze, e si nasconde fra una virgola e un punto interrogativo. Un libro autoreferenziale e barocco, altezzoso come una signorina bon chic bon genre che vuole dimostrare a tutti l'ottima educazione ricevuta nei migliori istituti a pagamento.
L'unica cosa che ha in comune con il Riccio è il colore della copertina.

A volte, i romanzi d'esordio si riconoscono alla prima pagina.

martedì 25 ottobre 2011

Tetti di Parigi, di Fabrice Moireau e Carl Norac

I tetti di Parigi parlano tra di loro, si raccontano storie di artisti bohémien e scrittori solitari, osservano quel cielo che ha il loro stesso colore, proteggono e svelano, giocano alla guerra, con "i caminetti schierati come sul campo di battaglia".
I tetti di Parigi sono lì da sempre, e sempre e solo lì. In nessun'altra città della vecchia Europa. Solo a Parigi.
I tetti di Parigi si meritano un libro, dedicato solo a loro: perché dall'alto, a Parigi, non si vede solo la superba Tour Eiffel, un'arteria di Louvre, un accenno di Pompidou, le rotondità del Sacre Coeur. C'è anche questa distesa di grigi disordinati, armature brillanti o coperchi opachi, tristi bagliori e memorie altere.

Fabrice Moireau e Carl Norac, Tetti di Parigi, Ippocampo

 Tetti di Parigi è una raccolta di acquerelli e disegni realizzati da Fabrice Moireau, con l'accompagnamento discreto di testi e poesie scritti ad hoc da Carl Norac. Un gioiello di carta, che oltretutto è carta porosa, come quella che usavamo a scuola durante le lezioni di educazione artistica. La pagina sembra una tavola originale, un album da disegno regalatoci da un amico artista-squattrinato. Lui, Moireau, diplomato all'Ecole Nationale Supérieure des Arts appliqués et des Métiers des Arts, se n'è andato a zonzo per Parigi, chiedendo ospitalità a proprietari di balconi, terrazze, finestrelle, con il suo quaderno di schizzi e appunti. Da cui poi è partito Norac per scrivere i suoi testi. Come questo:

"Si è fatto un gran parlare dei poeti 
nelle mansarde di Parigi. 
Per indicare un'indigenza passeggera.
O la miseria. Nessuno però 
ha mai fatto notare che,
nelle mansarde, il poeta 
stava semplicemente 
un po' più vicino al cielo".

Perché sopra e sotto quei tetti c'è vita, c'è Matisse ventiseienne che afferra i pennelli e cattura la luce, c'è la notte di Ménilmontant e Montmartre sotto la neve, c'è "la Parigi degli alberghi a cinque stelle, beninteso: ma che ne è del firmamento?", ci sono le ballerine dell'Opéra Garnier, e c'è Chopin con in tasca un po' di terra di Polonia e davanti a sé una finestra sul Panthéon.
C'è Parigi che respira come un pesce, e i suoi tetti sono solo le sue squame d'argento.




E questi sono i miei tetti di Parigi:







mercoledì 19 ottobre 2011

Forse anche questa è letteratura


Foto di Umberto Gulletta - da qualche parte, a Messina

Molto forte, incredibilmente vicino, di Jonathan Safran Foer


«Quando ti sei addormentato con la testa sul mio grembo ho acceso la televisione.
Ho abbassato il volume al minimo.
Le stesse immagini ripetute all'infinito. 
Aerei che vanno contro le torri. 
Corpi che cadono.
Persone che agitano camicie dalle finestre in alto. 
Aerei che vanno contro le torri.
Corpi che cadono.
Aerei che vanno contro le torri.
Persone coperte di polvere bianca.
Corpi che cadono. 
Le torri che cadono.»

Jonathan Safran Foer, Molto forte, incredibilmente vicino, Guanda

mercoledì 5 ottobre 2011

Pills #1

Sto per partire (è una parola grossa) per Giardini Naxos, dove lavorerò a un evento che si chiama Extramoenia: è una rassegna di cultura classica durante la quale, fra le altre cose, si parlerà di libri. Ma prima vi lascio  con delle mini recensioni, ma proprio mini, ma così mini che hanno solo il titolo.

Libri da dimenticare (o "Come buttare soldi in un posto che non sia l'Ikea")




Libri che avrei voluto scrivere io




Libri che meriterebbero una seconda possibilità (o "Sulle aspettative infrante")





sabato 1 ottobre 2011

D.I.Y. Dentistry and other alarming inventions, di Andy Riley

Eccoci qui, Andy Riley. Sapevi che sarebbe arrivato questo momento, dì la verità. Eppure, speravi che io mi concentrassi sui tuoi coniglietti suicidi, perché con loro non avresti avuto alcun timore. E invece no. Il caso ha voluto che qualche tempo fa io mi trovassi a Londra, in una notte gelida di inizio gennaio, una notte in cui l'unico rifugio poteva essere solo il negozio Her Majesty's Voice, aperto fino a tardi.  Proprio lì ho trovato il tuo libretto dalla copertina azzurra, e vuoi sapere una cosa? Non me l'hanno venduto a prezzo di copertina (£ 6.99, puah) ma a prezzo scontato: £ 3. Ecco perché ne ho comprato due copie.

Andy Riley, D.I.Y. Dentistry, Hodder & Stoughton

 Il problema è che tu, Andy, sei un genio, e dunque mi è difficile stroncarti con la mia recensione di D.I.Y. Dentistry and other alarming inventions. Questo libretto - lo dico per i nostri lettori, miei e tuoi - è un catalogo di invenzioni da "mai più senza". Mai più senza il System for beating traffic jams, mai più senza Apparatus for crossing motorways safely on foot, mai più senza Auto-scooper for dogs o Cheap air travel. Da ora in poi non potremo più fare a meno del Violinviolacellobass. Che poi sono volti stralunati e straniati quelli che tu metti su carta, facce tranquille che usano il sidecar per cavalli o la macchina per identificare cammelli e dromedari come se niente fosse. Quelle facce sono le stesse (assenti/indifferenti) che hanno i coniglietti suicidi mentre cercano la morte sotto le stalattiti o incastrando la testolina nel vassoio del lettore dvd.


Facce praticamente arrese alle invasioni di mercato da parte di oggetti che, diciamoci la verità, potrebbero anche non esistere: non ne sentiremmo la mancanza.
Ora, è più assurdo il cellulare-rasoio, il ferro da stiro da piedi, il terrazzino per fumatori in aereo (tutti nel tuo libro), o il gioco di carte su IPad, che ci evita la insostenibile necessità di portare con noi delle vere carte da gioco?
Dunque grazie, Andy, perché come il marketing ci insegna, bisogna creare un bisogno per creare un mercato. E, in tempi di crisi, può essere un buon business quello dell'asciugacapelli più economico del mondo.







lunedì 6 giugno 2011

Hanno rapito Alain Delon, di Benjamin Berton

Chi è oggi Alain Delon? Poiché non lo si vede in giro (cioè sugli schermi) da qualche decennio - eccezion fatta per quel memorabile ruolo di Giulio Cesare in Asterix nel 2008 - è forse un bene che sia sparito dalla circolazione, perché così può restare mito senza il rischio di incappare in produzioni deprimenti e penose caricature di ciò che era in gioventù. E proprio del mito sfiorito racconta un libretto solitario che ho trovato su uno scaffale di una libreria. Edito da Nottetempo (sconosco), nella collana "Il rosa e il nero", Hanno rapito Alain Delon, di Benjamin Berton, narra di un uomo che si è rinchiuso da solo nella sua turris eburnea, solo nella sua Parigi che sembra "una vecchia borghese", tenuto in piedi dalla sola convinzione che tutti i personaggi interpretati nella sua lunga carriera non possano non aver fatto di lui un uomo complesso e ricco di contraddizioni. Un giorno due giovani giapponesi lo rapiscono perché convinti che sia il vero padre di uno di loro: lo rinchiudono in una fattoria ipercontrollata nella Creuse e lo costringono senza volerlo a guardarsi allo specchio e a vedersi per quello che è.

Chissà se qualcuno del suo entourage avrà fatto leggere ad Alain Delon questo libro. Onestamente, spero di no. Lo spero per lui, perché se è vero che l'attore ha avuto forti crisi depressive negli ultimi anni, questo libro di Berton non può che essere il colpo di grazia. Oltretutto è stato azzoppato da una traduzione che gli fa torto, rendendolo stucchevole e molto simile a un esercizio scolastico.
Eppure, avrebbe potuto essere un romanzo comico. Comicissimo: le potenzialità c'erano. Insomma, si racconta di un settantenne che ricorre ancora agli sguardi di quando era un bel Gattopardo, ridicolo in alcune sue pretese, ridicolo nei timidi e ingenui tentativi di fuga, ridicolo nell'affidarsi ai suoi ricordi cinematografici per risolvere i problemi della prigionia. Sarebbe stato un ottimo romanzo comico se l'autore (francese anche lui) avesse crudelmente preso in giro l'attore-mito e poi, nel finale, lo avesse consolato con un tenero abbraccio. Tanto promettente il titolo quanto poco avvincente il racconto. Eppure non è così difficile inventarsi una storia di fantasia: lo è di più raccontare la realtà.


Benjamin Berton, Hanno rapito Alain Delon, Nottetempo