mercoledì 7 dicembre 2011

Fragments, di Marilyn Monroe

Leggo un articolo piuttosto recente in cui si racconta per sommi capi - e molti stereotipi - il breve amore tra Arthur Miller e Marilyn Monroe. E' nel 1956, l'anno stesso del matrimonio, che Miller scrive sul bordo di un quotidiano "mi vergogno di lei". Così, poso l'articolo e prendo un libro che mi è stato regalato circa un anno fa.

Marilyn Monroe, Fragments, Feltrinelli

 
Si chiama Fragments ed è una raccolta di poesie, appunti e lettere che Marilyn scrisse tra il 1943 e il 1962, il periodo in cui diventava leggenda e si consegnava alla storia come un pegno sacrificale. Ricordo che appena finito di leggerlo ho pensato che mai e poi mai si dovrebbe pubblicare il diario di qualcuno, nemmeno se chi l'ha scritto non è più tra noi. Fragments è molto di più di una biografia ufficiale o non ufficiale, molto di più di un romanzo da quattro soldi pubblicato in edizione economica e spacciato per "l'unica vera storia dell'attrice più controversa al mondo". In Fragments ritroviamo la copia delle agende di Marilyn, i fogli del Waldorf Astoria, le pagine ingiallite e battute a macchina. Ma soprattutto, troviamo l'inferno di una donna che scrive "la sensazione di violenza che provo negli ultimi tempi" e confessa - alla carta? - "la paura immediata di qualsiasi parte del mio corpo".


Tutti sappiamo che Marilyn Monroe viveva con tormento il timore di non essere all'altezza di suo marito, quel marito Premio Nobel che però di lei si vergognava. Così, mentre l'intellettuale si faceva apppagare solo dalla certezza di essere invidiato dagli altri uomini, lei si produceva in studi accaniti e febbrili, e febbrilmente amava l'uomo e "il dolore del suo desiderio quando guarda un'altra [...] e per me la pena spietata".



"Maybe someone will read it? I don't think so". 

I curatori del volume, Stanley Buchtal e Bernard Comment, riportano fedelmente le parole di Marilyn, con testo originale a fronte. Ed è una lettura emozionante scoprire quanto fosse piccola e gigantesca quella  creatura che spesso ci portiamo dietro stampata sulle magliette.
Antonio Tabucchi, nella commovente prefazione, chiama Marilyn "farfalla" e ne ricostruisce la storia: una quête senza pace.

Non avrebbero dovuto pubblicare il diario di Marylin. Lei non se l'aspettava. Ma una volta pubblicato, è quasi doveroso leggerlo. Perchè con le sue parole  indifese, tracciate a matita, Marilyn ci sta insegnando a distanza di cinquant'anni che vuol dire essere donna.



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