Se volessi aggiungere alla trama del libro qualcos'altro, dovrei inventarmelo. La letteratura mondiale è piena di recherche: cercare, o meglio ricercare, qualcosa (nel tempo, nello spazio, nelle persone) è un tema caro agli scrittori, peccato però che siano pochi quelli a cui è venuto in mente di cercare qualcosa di utile, o di originale, o di universale, come un calzino spaiato, un numero di telefono, un idraulico.
Muriel Barbery, Estasi culinarie, e/o |
Un libro di appena 130 pagine può essere pesante come la biografia ufficiale di Winston Churchill o come la Garzantina di italiano che il mio prof di linguistica al primo anno di università pretese che studiassimo "se non a memoria, quasi".
Il protagonista, Monsieur Arthens, ricorda frammenti di passato, tra le zuppe della nonna e i sorbetti dell'amante, mentre il parentado non vede l'ora che questo vecchio insopportabile tiri le cuoia.
Muriel, che libro morboso hai scritto. E con che pretese di "seduzione pseudo-evocativa". Non ho mai letto un libro così carico di aggettivi. Anzi sì, ma quella è un'altra storia.
Pagine grondanti, gocciolanti di aggettivi. In alcuni periodi ce ne sono così tanti che il sostantivo si perde, impaurito in mezzo alle altisonanze, e si nasconde fra una virgola e un punto interrogativo. Un libro autoreferenziale e barocco, altezzoso come una signorina bon chic bon genre che vuole dimostrare a tutti l'ottima educazione ricevuta nei migliori istituti a pagamento.
L'unica cosa che ha in comune con il Riccio è il colore della copertina.
A volte, i romanzi d'esordio si riconoscono alla prima pagina.
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