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domenica 27 novembre 2011

Parti in fretta e non tornare, di Fred Vargas

Non ho ancora finito di leggerlo, ma i tempi sono maturi per dirlo: questa è la "miglior Parigi letteraria" della mia vita letteraria.

Fred Vargas - che è una donna, lo sappiamo tutti - ha scritto un giallo eccelso. Ecco perché:

1) La struttura è lineare e tuttavia appassionante: un assassino spaventa la città ed è necessario trovarlo prima che faccia troppo danno. Niente incastri alla Dan Brown, niente dettagli incomprensibili che il lettore fa finta di aver capito per non fare brutta figura con se stesso o semplicemente per andare avanti nella lettura. Autentico godimento.

2) I personaggi principali sono sempre a coppie: due sono gli uomini che cominciano a studiare i segnali dell'assassino, due sono i poliziotti (un commissario e il suo assistente) che indagano sul caso, due sono gli esperti (medievalisti) che illumineranno di significato gli indizi. Tutti uomini. Il che mi porta a constatare un terzo aspetto.

3) Fred Vargas scrive come un uomo. Insomma, a parte Agatha Christie, sono uomini i più grandi giallisti della storia. E Frédérique Audouin-Rouzeau sembra avere proprio la penna di un uomo: asciutta, ironica, quasi ingenua. Le cose del mondo sono semplici, e con semplicità vengono rappresentate. Non so se questo è voluto o se è una pura questione di stile. Ma se pensiamo che il giallo è camuffare la realtà per svelarla solo nel finale, il fatto che l'autrice si camuffi dietro le parole mi sembra assolutamente coerente.

4) Questo per me è il punto più interessante. La vicenda è ambientata ai giorni nostri. Lo sappiamo perchè si parla di televisione, radio, computer e database, rilevazioni scientifiche e quant'altro. Eppure leggendo ho sempre avuto l'impressione - la piena e inconsapevole consapevolezza, direi - che Fred raccontasse la Parigi del XIX secolo, non più tardi. Mamma mia che impressione quando poi arriva un dettaglio, tipo "furgoncino", "codici d'accesso", "microfono" e "giornalisti" che fa cadere l'illusione... 


E comunque, avrei potuto evitare questa lunga discussione, il punto 1, il punto 2, il punto 3 e il punto 4, scrivendo semplicemente questo: "Fred Vargas sembra Pennac". Ma io non sono un uomo né scrivo come tale, dunque sarebbe stato troppo poco per me.


Fred Vargas, Parti in fretta e non tornare, Einaudi

martedì 25 ottobre 2011

Tetti di Parigi, di Fabrice Moireau e Carl Norac

I tetti di Parigi parlano tra di loro, si raccontano storie di artisti bohémien e scrittori solitari, osservano quel cielo che ha il loro stesso colore, proteggono e svelano, giocano alla guerra, con "i caminetti schierati come sul campo di battaglia".
I tetti di Parigi sono lì da sempre, e sempre e solo lì. In nessun'altra città della vecchia Europa. Solo a Parigi.
I tetti di Parigi si meritano un libro, dedicato solo a loro: perché dall'alto, a Parigi, non si vede solo la superba Tour Eiffel, un'arteria di Louvre, un accenno di Pompidou, le rotondità del Sacre Coeur. C'è anche questa distesa di grigi disordinati, armature brillanti o coperchi opachi, tristi bagliori e memorie altere.

Fabrice Moireau e Carl Norac, Tetti di Parigi, Ippocampo

 Tetti di Parigi è una raccolta di acquerelli e disegni realizzati da Fabrice Moireau, con l'accompagnamento discreto di testi e poesie scritti ad hoc da Carl Norac. Un gioiello di carta, che oltretutto è carta porosa, come quella che usavamo a scuola durante le lezioni di educazione artistica. La pagina sembra una tavola originale, un album da disegno regalatoci da un amico artista-squattrinato. Lui, Moireau, diplomato all'Ecole Nationale Supérieure des Arts appliqués et des Métiers des Arts, se n'è andato a zonzo per Parigi, chiedendo ospitalità a proprietari di balconi, terrazze, finestrelle, con il suo quaderno di schizzi e appunti. Da cui poi è partito Norac per scrivere i suoi testi. Come questo:

"Si è fatto un gran parlare dei poeti 
nelle mansarde di Parigi. 
Per indicare un'indigenza passeggera.
O la miseria. Nessuno però 
ha mai fatto notare che,
nelle mansarde, il poeta 
stava semplicemente 
un po' più vicino al cielo".

Perché sopra e sotto quei tetti c'è vita, c'è Matisse ventiseienne che afferra i pennelli e cattura la luce, c'è la notte di Ménilmontant e Montmartre sotto la neve, c'è "la Parigi degli alberghi a cinque stelle, beninteso: ma che ne è del firmamento?", ci sono le ballerine dell'Opéra Garnier, e c'è Chopin con in tasca un po' di terra di Polonia e davanti a sé una finestra sul Panthéon.
C'è Parigi che respira come un pesce, e i suoi tetti sono solo le sue squame d'argento.




E questi sono i miei tetti di Parigi: