giovedì 25 ottobre 2012

"Per legge superiore", di Giorgio Fontana



Verità e giustizia non sono la stessa cosa.
Il lettore sprovvisto di competenze giuridiche si troverà confuso di fronte a questa affermazione. Non sono forse i giudici a stabilire la verità? Non è forse loro compito assegnare la parte del buono e del cattivo, muovendosi secondo criteri oggettivi e inconstestabili? A quanto pare no.

Per legge superiore, il nuovo romanzo di Giorgio Fontana (Sellerio) indaga la morale di un uomo, Roberto Doni, magistrato milanese con una vita regolare e solida. E con una solida concezione della propria professione. Finché si presenta, impetuosa e quasi arrogante, la vicenda di un immigrato marocchino accusato di aver sparato a una donna. Doni deve attenersi ai fatti, lo sa bene. I fatti dicono che l’uomo ha sparato. Ma la vita è anche immaginazione, coincidenze, speranza, fiducia. E i fatti, a volte, hanno un ruolo solo marginale.

 

“La giustizia è cosa divina,” dice Doni “noi ci limitiamo a operare secondo norme umane e fallibili: viviamo tra le macerie e con le macerie dobbiamo cavarcela”. L’autore affida al protagonista del romanzo l’amara conclusione che verità e giustizia possano correre su due binari paralleli senza mai incontrarsi. Ma non è una figura cinica, Doni, non lo è mai, nemmeno quando sembra arrendersi a quei “fatti”. Giorgio Fontana costruisce un personaggio dalla grande umanità e lo fa consegnandogli lo strumento inalienabile dell’essere umano: l’etica. Con la sua etica, con la sua morale (applicata o anche solo applicabile) Doni riesce a trovare la pace con se stesso, con i “fatti”, con il “Palazzo”, luogo di lavoro che sembra farsi carico di tutte le storture, le anomalie e la ruggine della vita. E non solo di chi ha a che fare con la giustizia e le leggi.

Per legge superiore ci presenta una Milano vivida e multiforme: accanto alla città borghese in cui Doni e la sua famiglia si muovono, c’è la Milano degli immigrati che ricostituiscono i loro mondi ai lati di una strada di periferia. Questa seconda Milano è teatro di nuove consapevolezze e nuova sensibilità per Doni che - accompagnato da Elena, giornalista che sceglie di combattere la sua lotta a fianco della verità e non della giustizia – impara a non giudicare. Proprio lui che di mestiere fa il giudice.

“Perché c’è un punto dove ogni buon senso e la condotta razionale terminano, e siamo chiamati a fare una scelta senza informazioni sufficienti per compierla come vorremmo. Senza pensare alle conseguenze”. Sono le parole di un vecchio amico di Doni, un professore in pensione che forse proprio per via della sua lontananza dai “fatti” riesce a guardare quegli stessi fatti con la giusta focalizzazione. E Doni non può far altro che accettare un insegnamento come questo, e come tanti altri: a 61 anni il magistrato non smette di voler imparare. Dal professore, dal collega deceduto molti anni fa, dalla giornalista, da sua moglie, da sua figlia. Un uomo con il potere di decidere della libertà di un altro uomo non sa ancora quale sia la legge superiore, ma la cerca, la cerca dappertutto, in un bicchiere di tè maghrebino, in un vecchio bar, in una foto ricordo.

Forse la legge superiore sta proprio qui: nella ricerca, dentro e fuori di noi, dentro e fuori i nostri confini morali e i nostri codici etici, dentro e fuori i nostri personali “Palazzi”. Fontana ci consegna il ritratto di un uomo che quel canale misterioso tra verità e giustizia lo esplora e lo annusa, finché la sua ricerca non sarà compiuta.

Giorgio Fontana, Per legge superiore, Sellerio, 2011

 *Questa recensione è stata inviata alla redazione di Elle, come contributo al concorso letterario Gran Premio delle Lettrici di Elle, 2012.

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